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30 quesiti trovati
Crisi d'impresa e fallimento
Una ditta individuale, che ha cessato l'attività, si trova ad avere debiti verso fornitori e banche, nonché nei confronti dell'Erario. Tale ditta ha subìto il pignoramento dei conti correnti, sia da parte di un fornitore che dell'agenzia delle Entrate-Riscossione. Non svolgendo più alcuna attività, si vorrebbe chiudere la partita Iva della ditta individuale e cancellare quest'ultima dal Registro delle imprese, anche al fine di non incrementare i costi e, quindi, i debiti. È possibile procedere in questo modo?
L’articolo 213, primo comma, della legge fallimentare (Rd 1267/1942), nel testo in vigore dal 20 ottobre 2012, dispone che, «prima dell'ultimo riparto ai creditori, il bilancio finale della liquidazione con il conto della gestione e il piano di riparto tra i creditori, accompagnati da una relazione del comitato di sorveglianza, devono essere sottoposti all'autorità, che vigila sulla liquidazione, la quale ne autorizza il deposito presso la Cancelleria del Tribunale e liquida il compenso al commissario». Dopo avere inviato tre istanze al Ministero, e decorsi sei mesi senza ottenere risposta, come dovrebbe comportarsi un commissario per chiudere una procedura, previa determinazione del compenso?
Sono amministratrice di una società a responsabilità limitata semplificata (Srls) fallita. Di conseguenza, sono stata segnalata alla Centrale dei rischi. Mia figlia, che è socia al 60 per cento, ha riscontrato di essere a sua volta segnalata e di non poter accedere al credito bancario. Questa segnalazione è corretta? E che cosa si può fare per risolvere il problema?
Una società acquista un immobile, subentrando nel relativo contratto di affitto in qualità di locatore, e percependo i canoni di locazione. Successivamente, il venditore fallisce e il curatore avvia azione di revocatoria ordinaria su tale immobile. Il curatore non chiede la restituzione dei frutti e l'acquirente continua a percepire regolarmente gli affitti dall'inquilino durante tutto l'iter processuale. Qualora la domanda di revocatoria abbia alla fine esito positivo, e quindi renda l'acquisto inefficace, il curatore ha diritto di chiedere i frutti percepiti dall'acquirente revocato durante tutto il periodo del processo? In sostanza, da quando l'acquirente revocato dovrebbe restituire (o rischia di dover restituire) i frutti percepiti da quell'immobile? Oppure non è tenuto alla restituzione?
Dopo il fallimento di un'azienda, avvenuto nel 2010, è stata conclusa una transazione legale consistente nella messa a disposizione di immobili da vendere. Come da procedura, il ricavato dovrebbe essere destinato a formare la quota di rimborso. Tuttavia, pare che la vendita, a oggi, sia condizionata dall'andamento del mercato immobiliare. Si chiede se gli azionisti, trascorso più di un decennio, hanno il diritto di conoscere il numero degli immobili, il loro valore e soprattutto le tempistiche di vendita.
La società a responsabilità limitata "A" è partecipata da un'altra Srl ,"B", in concordato preventivo. La quota di partecipazione di quest'ultima viene messa all'asta, avendo il liquidatore giudiziale ricevuto una proposta di acquisto da parte di una società estera. L'articolo 2471 del Codice civile dispone che l'eventuale vendita è priva di effetto se, entro dieci giorni dall'aggiudicazione, la società presenta un altro acquirente che offra lo stesso prezzo. Nello statuto della Srl "A", è presente una clausola di prelazione in favore dei soci; in particolare, è previsto che essi abbiano 45 giorni di tempo dal ricevimento dell'offerta per esercitare il diritto di prelazione. La società "C", socia della società "A", vorrebbe esercitare il diritto di prelazione. Se i soci, in base allo statuto, hanno 45 giorni di tempo per esercitare la prelazione, come può la società presentare un offerente entro 10 giorni? Come si conciliano i due termini?
Si sta pianificando un concordato preventivo con transazione fiscale. Risultano tre creditori: l'Erario, un istituto di credito e una società, di cui la società oggetto del concordato possiede una quota. La società parzialmente partecipata ha già espresso parere favorevole alla procedura, mentre non è così chiaro l'atteggiamento dell'istituto di credito. In caso di voto dei creditori - posto che l'Erario ha un privilegio, mentre gli altri creditori sono tutti chirografari - il voto della società e quello dell'istituto di credito possono essere considerati nella medesima classe?
Una cooperativa di produzione e lavoro (a mutualità prevalente) in liquidazione da anni, con sede legale in Sicilia, attende di chiudere un vecchio ricorso in Commissione tributaria per chiedere la cancellazione dal Registro delle imprese. Tale cooperativa svolgeva un'attività commerciale fino a tre anni fa. Un ex socio, che vanta un credito di circa 20mila euro, ha presentato ricorso al Tribunale per l'apertura della liquidazione giudiziale nei confronti della cooperativa, secondo quanto previsto dal Codice della crisi d'impresa. Nel frattempo, però, in sede di revisione ordinaria, il revisore, tenuto conto che effettivamente la società non ha potuto pagare vecchi debiti nei confronti di qualche privato, e anche nei confronti dell'agenzia delle Entrate, ha comunicato al liquidatore l'intenzione di chiedere all'autorità amministrativa che la cooperativa venga messa in liquidazione coatta amministrativa, ex articolo 2545-terdecies del Codice civile. In Sicilia, l'autorità amministrativa è l'assessorato regionale alle attività amministrative. Ci si chiede quale autorità ha precedenza sull'altra, in questi casi: il Tribunale o la Regione?
Una società a responsabilità limitata è stata messa in liquidazione giudiziale con autorizzazione all'esercizio provvisorio. Al termine dell'esercizio, i rapporti di lavoro - che sono proseguiti durante l'esercizio stesso - sono sospesi, ex articolo 189, comma 1, del Codice della crisi d'impresa (Dlgs 14/2019), oppure vanno interrotti con licenziamento?
Tenuto conto che le cooperative a mutualità prevalente di produzione e lavoro, al fine di rispettare il criterio della mutualità, puntano all'assunzione di soci lavoratori a discapito dello scopo di lucro (tra l'altro non contemplato dallo statuto sociale), e, dunque, seguono dinamiche di strategie d'impresa a volte anche fortemente discostate dalle classiche dinamiche delle società di capitali, vorrei sapere se esse sono tenute in ogni caso ad adeguarsi, allo stesso modo delle società di capitali, a quanto stabilito dal secondo comma dell'articolo 2086 del Codice civile o se la normativa sulla crisi d'impresa ha previsto qualche eccezione.
Vorrei sapere se l’attestatore dei piani di risanamento ex articolo 56 del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (Cci, Dlgs 14/2019) dev'essere scelto tra i soggetti iscritti all’albo dei gestori della crisi di cui all'articolo 356, oppure se è sufficiente che sia un professionista indipendente a norma dell’articolo 2 del medesimo Codice.
Sono creditore di una cooperativa in liquidazione coatta amministrativa (Lca) da 24 anni, che ha visto anche la destituzione del commissario liquidatore e la sua sostituzione. Vorrei chiedere un equo indennizzo per l’irragionevole durata della procedura. Ho visto la sentenza Cippolletta /Repubblica Italiana Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) 11 gennaio 2018 per danno morale con liquidazione di una somma di 24mila euro. Non si applica la legge Pinto, come ben spiegato dalla sentenza del 5 febbraio 2020 della Corte Costituzionale, che peraltro apre ai rimedi ordinari individuandoli nell’articolo 2-bis, comma 1, della legge 241/1990. Ho trovato una sentenza del Tar del Lazio (1127/2018) che fa rientrare la Lca nella giurisdizione ordinaria e non in quella amministrativa. Ho pensato di impostare una richiesta di indennizzo e inoltrarla via pec al ministero delle Imprese e del Made in Italy – Divisione Vigilanza sul Sistema Cooperativo. Mi sono già più volte peraltro rivolto a tale indirizzo per chiedere informazioni ma naturalmente non mi è mai stato risposto. In conclusione a chi e con quale forma si deve adire per ottenere l’indennizzo? L’unica via è la Cedu?
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